Tutti conosceranno L’urlo di Munch, ma forse non tutti sanno che l’autore ha voluto rappresentare un soggetto colto da un’angoscia profonda, totalizzante. Questi urla, terrorizzato, per emettere il grido si comprime la testa con le mani. Tutta la figura perde forma e diventa essa stessa preda del suo stesso sentimento di angoscia, terrore. E non vi è altro pensiero o altro movimento che non sia permeato da questo.
Cos’è l’ansia?
L’ansia non è altro che una reazione di forte paura di fronte ad un evento che normalmente non viene considerato spaventoso. Chi la prova non è in grado di spiegarselo. In realtà ad un’indagine più approfondita emerge il vero motivo per cui quell’evento in apparenza innocuo è vissuto come estremamente pericoloso: è visto come minaccioso per il raggiungimento di uno scopo importante.
Dunque l’ansia non è affatto immotivata e senza senso.
Perché la proviamo?
Per rispondere a questa domanda è necessario fare un passo indietro. L’emozione alla base dell’ansia, come ho già detto, è la paura. La paura è una componente essenziale del patrimonio genetico ed è una delle cinque emozioni di base (insieme a gioia, tristezza, rabbia e disgusto). Tra tutte le emozioni è la più “basica” la più automatica, quella che meno necessita di una mediazione cognitiva e quando viene attivata finisce per prevalere su tutte le altre. (Apparigliato e Lissandron, 2010). Forse non tutti sanno che, per quanto sia fastidiosa e sgradevole, la paura ha una importante funzione per la nostra specie, come anche per le altre specie animali, e cioè quella di preservarci dai pericoli. Una specie animale incapace di provare paura si estinguerebbe rapidamente perché no si accorgerebbe dei pericoli e non saprebbe reagirvi prontamente. (Le Doux, 1996) La paura serve da segnale per l’organismo, che si prepara ad affrontare il pericolo imminente. Come si prepara l’organismo? Il cuore inizia a battere più velocemente per irrorare più sangue ai muscoli che servono al movimento, anche il respiro si fa più frequente per avere più ossigeno a disposizione per tutte le attività, lo stomaco sospende le sue attività per permettere di indirizzare tutte le energie in attività volte a salvaguardare la sopravvivenza. Il nostro organismo di prepara così a difendersi da un pericolo che minaccia la propria sopravvivenza mettendo in moto l’istinto di attacco/fuga.
Finora abbiamo parlato di un pericolo reale, es: sento un rumore sospetto in casa e temo che ci siano dei ladri, inizio a sudare, il mio battito cardiaco accellera, la mia attenzione è tutta rivolta verso questo stimolo ignorando gli altri stimoli ambientali. In questo caso si prova paura. Al contrario se dovrò parlare in pubblico dinanzi ad un palcoscenico, se dovrò superare un esame, uscire per la prima volta con una ragazza, parliamo di ansia.
Sperimentiamo paura ogniqualvolta percepiamo o ipotizziamo una minaccia ad un nostro scopo (Lorenzini, Sasssaroli, 2000) Mentre nel caso della paura lo scopo minacciato è assolutamente evidente, nel caso dell’ansia è più sfumato, soprattutto per chi la sperimenta. Così l’ansia d’esame sembra ingiustificata a chi la prova se considera soltanto il danno che deriverebbe dalla bocciatura -ripetere l’esame- senza considerare che una bocciatura comprometterebbe l’immagine di sé ai suoi occhi, agli occhi degli altri, provocherebbe una delusione profonda nei suoi genitori ecc… Se così fosse potrebbe dare una lettura diversa: non più ansia vissuta come esagerata, immotivata, ma paura di non valere, di non essere capace, di deludere ecc… L’ansia è sempre rivolta al futuro, la minaccia non si ancora realizzata, lo scopo non è ancora compromesso; nel momento in cui si dovesse effettivamente realizzare la minaccia temuta, es: bocciatura all’esame, l’ansia lascerebbe il posto ad altre emozioni come la delusione, la tristezza, la rabbia. Proprio per il fatto di essere rivolta al futuro è prerogativa soltanto della specie umana. Per provarla è necessario avere una percezione di sé nel passato e nel futuro, definita coscienza di sé.
Quando si può parlare di panico?
Il termine panico deriva dal Dio Pan (Fauno nella mitologia romana) noto, nella mitologia greca, per il suo essere potente e selvaggio. Si narra che si adirava così tanto con chi lo disturbasse emettendo urla terrificanti, da provocare una incontrollata paura.
E’ usato per indicare uno stato di ansia acuto, di breve durata, a insorgenza improvvisa. I cui sintomi possono essere palpitazioni, senso di respirare male o soffocare, giramenti di testa, costrizione toracica, nausea, dolori addominali, bisogno di urinare spesso, diarrea, tremori, sensazione di sbandare, vertigini, formicolio agli arti.
Quando l’ansia diventa patologica?
L’elemento che discrimina una “sana” apprensione per un evento da un’ansia clinica non è l’evento in sé. Un primo fattore da considerare è la reazione: a volte questa si può manfestare con dei sintomi fisici, oltre a dei pensieri preoccupanti, per esempio con difficoltà respiratorie, giramenti di testa ed altri sintomi tipici del panico. La paura che l’ansia si ripresenti ogniqualvolta mi ritroverò ad affrontare la stessa situazione o andrò nello stesso luogo, detta ansia anticipatoria, è un altro elemento discriminante, e molto spesso è essa stessa responsabile degli episodi di ansia acuta seguenti al primo. La ricorsività di queste reazioni, fa si che si possa parlare di un vero e proprio disturbo più che di attacchi isolati.
“Un meteorite che impatta sulla terra!” Mi piace usare questa metafora per descrivere cosa accade ad una persona che prova per la prima volta una crisi- o attacco come più spesso viene definito- di panico. Da quel momento la persona sarà più sensibile a tutti i segnali provenienti dal proprio corpo e tenderà ad interpretare questi come precursori di altri attacchi di panico. Si sentirà quindi profondamente fragile e vulnerabile rispetto a prima che ciò accadesse. Cambierà la percezione di sé. Molti pazienti dicono di non sentire più di essere una persona forte, capace, addirittura intelligente, per aver provato un’ansia così forte per un evento che non la giustificasse, per questo arrivano in terapia mostrando anche un calo dell’umore.
C’è un periodo dell’anno in cui questi disturbi aumentano?
Si, nei periodi di forte caldo. L’estate può diventare per alcuni la “stagione del panico”. La prima motivazione è che l’estate coincide spesso con cambiamenti di orari e abitudini quotidiane, vacanze tanto desiderate, ma proprio per questo cariche di aspettative e, a volte succede anche che proprio in vacanza ci troviamo a passare più tempo del solito con le persone care, mettendoci difronte a difficoltà proprio nel periodo che dovrebbe essere il più felice e spensierato dell’anno. Le persone ansiose tendono a cercare costantemente un equilibrio che gli consente di sentirsi tranquilli in un contesto prevedibile. I cambiamenti creano instabilità e necessità di riadattarsi. Un altro motivo è di origine fisiologica ed è quello che spesso può dare avvio al circolo di mantenimento del panico. L’aumento della temperatura esterna porta fisiologicamente ad avere una maggiore attenzione verso il nostro corpo e verso le sensazioni che esso ci trasmette. Il calo delle forze, l’abbassamento della pressione, la sudorazione, le palpitazioni, possono essere interpretate come segnale di un imminente attacco di panico in chi ne ha già sperimentato uno, cosicchè questo aumenterà il livello di allerta, con conseguente aumento della frequenza del battito cardiaco, sudorazione ecc… i sintomi tipici dell’ansia. Per molte persone il momento di scoprire il proprio corpo in estate è vissuto con angoscia e disagio, spesso non riconosciuto, perché considerato come un problema banale.
Cosa fare?
È importante affrontare il problema tempestivamente e facendo un percorso adeguato al singolo caso. Agire tempestivamente vi farà risparmiare del tempo nel risolvere il problema. Sembrerà strano ma è così! Aspettare credendo di riuscire ad affrontare il tutto da soli non vi renderà più capaci, al contrario far passare del tempo renderà il percorso terapeutico più lungo. Ricorrere all’aiuto di un esperto per affrontare questo sintomo prima che diventi un vero e proprio disturbo. Facendolo si evita di entrare nel meccanismo ricorsivo dell’ansia anticipatoria e del circolo del mantenimento di cui vi ho parlato brevemente prima- spero in maniera chiara- Agire sull’ansia anticipatoria è uno degli obiettivi che si affrontano in terapia cognitiva per arrivare all’obiettivo finale che è la remissione del sintomo. Dunque rivolgersi ad uno psicoterapeuta per comprendere insieme il senso di questo sintomo. Il sintomo ci parla! Ci sta dicendo qualcosa! Qualcosa di inaccettabile per la nostra mente e quindi non ha altra maniera che esprimerla, se non attraverso un sintomo. L’ansia non sarà soltanto un nemico da sconfiggere, diventerà così un prezioso alleato per comprendere cosa non va nella nostra vita!